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24/02/2025
Il ritratto dell'Artista, nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie
Il ritratto dell'Artista, nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie
Un saggio in immagini dall’Antico al Novecento. Un compendio di storia dell’arte attorno al ruolo dell’autoritratto nella poetica degli artisti
23 febbraio – 29 giugno 2025
Museo Civico San Domenico, Forlì
www.mostremuseisandomenico.it

La Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e il Museo Civico San Domenico presentano la mostra Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie (23 febbraio – 29 giugno 2025). L’esposizione, diretta da Gianfranco Brunelli e curata da Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, celebra il ventennale delle grandi mostre promosse dalla fondazione bancaria forlivese, in collaborazione con l’Amministrazione cittadina, iniziate nel 2005 con la rassegna dedicata a Marco Palmezzano.

Un interessante punto di partenza e di riflessione quello che viene proposto da questa mostra che parla di ritratti d'artista, lungo l'evoluzione storica che il ritratto o l'autoritratto hanno avuto fino ad arrivare al concetto di selfie, usato e abusato da tutti, nel quotidiano contemporaneo, ma che può aprire la porta ad interpretazioni artistiche anche con questa forma di espressione.

Il percorso espositivo si sviluppa dall’ex Chiesa del San Giacomo fino alle grandi sale del primo piano che costituirono la biblioteca del Convento di San Domenico. Il progetto di allestimento e la direzione artistica sono a cura dello Studio Lucchi & Biserni.
Dall’antichità al Novecento, l’autoritratto è il sublime ricordo del mito di Narciso, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi: il rispecchiamento di Narciso è l’auto-rispecchiamento dell’artista. Leon Battista Alberti nel De pictura (1435) riprende come modello per gli artisti la figura che si specchia nella fonte, teorizzando le arti visive come arti speculative e introducendo la figura dell’artista come uomo di lettere, protagonista del proprio tempo. Il Narciso di Alberti dà l’avvio al ruolo dell’artista nella modernità, che consegna la propria immagine ai posteri rendendo eterna la propria opera.
Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie
«Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell’acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie – sottolinea Gianfranco Brunelli, Direttore delle Grandi Mostre della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì –. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato per ogni artista una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù».
A partire dall’età umanistica l’autoritratto si afferma sempre più come comunicazione del proprio talento e come rivendicazione e affermazione del ruolo sociale dell’artista. Il percorso espositivo si apre proprio con la sezione Il mito dell'artista. Narciso e la nascita del ritratto, animata da opere come il Narciso alla fonte del Tintoretto dalla Galleria Colonna di Roma, il Narciso di Paul Dubois dal Museo D’Orsay o il grande arazzo raffigurante Narciso firmato da Corrado Cagli della collezione del Senato della Repubblica, che ben rappresentano l’articolata riflessione sviluppata dalla mostra, che ambisce a svelare attraverso il tema dell’autoritratto la progressiva definizione della consapevolezza di sé dell’artista nella storia dell’arte.
Si prosegue con Persona. Lo specchio, la maschera e il volto, una sorta di preludio alle sale successive, che raccoglie oggetti fortemente simbolici, come due splendidi Emblemi di maschere teatrali (10-50 d.C.) dal Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma, che in latino venivano chiamate persona, perché servivano a far risuonare, per-sonare, le parole degli attori. Un termine che è poi diventato definizione di un ruolo, di un volto, di un individuo. Accanto a questi manufatti anche alcuni specchi incisi riportano al tema della riflessione, di cui lo specchio, da oggetto privo di intenzionalità, diviene spunto di riflessione, simbolo e metafora.
In riferimento all’età medievale, la curatrice Paola Refice precisa che “Nel Medioevo non esistono autoritratti. Esistono, però, ritratti che l'artista fa di sé stesso all'interno dell'opera.
In Per speculum... L'immagine dell'Invisibile si affronta il tema del volto come espressione dell’anima, quindi veicolo del divino. Il tema dello specchio, centrale a partire dal Medioevo, quando viene inventato il vetro riflettente (1250) da strumento diventa allegoria, e il volto specchiato, lungo tutto il Rinascimento, genera una lunga serie di allegorie – specchiata virtù, vanità, bramosia – spesso a soggetto femminile. Nelle due sezioni Allegorie dell'immagine – La prudenza, virtù specchiata e Vanitas/Veritas – troviamo dunque opere come l’Allegoria della Prudenza di Marcello Venusti e di Donato Creti o La Sapienza e la Prudenza del Rustichino, la Venere di Tiziano o Venere e Amore di Jacob de Backer.

Come l’autoritratto dell’artista possa assumere significati e farsi portavoce di istanze anche molto diverse è il tema al centro di “Ad acquistar nome”, anche in questo caso declinato secondo due prospettive: L’artista soggetto narrante e L’immagine di sé tra gli uomini illustri. Nel XV secolo per la prima volta gli artisti sentono la necessità di autorappresentarsi introducendo i propri ritratti in scene collettive, dove compaiono come commentatori del significato morale dell’opera o testimoni dei fatti rappresentati, scrollandosi di dosso il ruolo di semplice artigiano, come ad esempio nella Presentazione al Tempio di Giovanni Bellini. Nel Cinquecento invece, parallelamente allo sviluppo del genere biografico, l’autoritratto diventa un genere a sé, spesso accompagnato anche da una meditazione sull’esistenza e sul significato dell’arte, come in Testa di giovane con acconciatura del Parmigianino dalle Collezioni d’Arte Fondazione Cariparma, nel Doppio ritratto del Pontormo e in Autoritratto con spinetta di Sofonisba Anguissola del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Nel XVII secolo prende piede la rappresentazione dell’artista nel suo ambiente di lavoro, nel momento della creazione artistica, una moda sostenuta dallo stesso collezionismo a partire dalla metà del XVI secolo, anche se l’artista resta in bilico tra intellettuale, ausiliare del potere, cortigiano, attore, buffone. È questo il tema affrontato nella sezione Trasfigurazioni dell'artista dove, accanto al tema del ritratto intimo e colloquiale si fa strada il modello dell’intellettuale gentiluomo, del pictor doctus. Qui incontriamo il disegno con cui un giovane Lorenzo Bernini si ritrae per la prima volta, Erodiade di Simon Vouet, alcune incisioni di Rembrandt, il Ritratto di Juan de Cordoba di Diego Velázquez dai Musei Capitolini e Artemisia Gentileschi da Palazzo Barberini


Nel gran teatro del mondo, indaga invece come alla fine del Seicento recitare col proprio volto fosse diventata una questione legata non solo al teatro ma anche agli artisti. Nella società delle maschere delle corti di allora i volti diventavano maschere, e teatro e vita l’uno lo specchio dell’altra. In questa parte del percorso sono esposte l’Allegoria delle tre Arti (Pittura, Musica, Poesia) ovvero Le tre sorelle di Sirani o l’Autoritratto in veste di guerriero di Salvator Rosa.
Gli artisti del XVIII secolo sono i protagonisti della sezione L’autoritratto indeciso. Tra il bello ideale e il sentimento del sublime, che racconta di un crocevia di diverse linee di sviluppo del pensiero, tra idealità e storia, ragione e sentimento, tra la ricerca del bello ideale e l’irrompere del sublime: un contesto in cui l’artista è andato alla ricerca di una forma perfetta, per poi scoprire al proprio fianco l’irrompere della realtà della storia e il sentimento della natura. Nel suo autoritratto, proveniente dagli Uffizi, Anne Seymour Damer appone orgogliosamente la sua firma in caratteri greci, per affermare una cultura normalmente preclusa all’universo femminile e dichiararsi erede dei grandi scultori antichi.

ph. Emanuele Rambaldi
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