di Umberto Garini
A chi non piace viaggiare? A me, a mio fratello Ludovico e al nostro amico Luca sicuramente si. Per questo abbiamo deciso di organizzare quella che sarebbe stata l’avventura della vita come viaggio per l’estate 2023.
Ci siamo quindi lasciati ispirare dall’impresa che fecero nel 1956 sei studenti di Oxford e Cambridge, attraversando per la prima volta metà del pianeta a bordo di due automobili. Dal Canale Della Manica a Singapore.
Ed ecco che ci siamo immaginati come dei moderni Marco Polo, che ripercorrevano la via della Seta.
Abbiamo quindi iniziato a progettare il viaggio, da Milano a Ulan Bator in Mongolia e i nostri sogni si sono subito dovuti infrangere contro la dura realtà: conflitti, guerre, confini chiusi, regimi totalitari, gli ultimi strascichi del Covid, ci hanno fatto capire che non sarebbe stata un’esperienza facile.
Ma non abbiamo desistito, anzi. In un mondo colpito da pandemie, guerre, conflitti interni e tensioni internazionali abbiamo deciso di dimostrare con il nostro viaggio che avventure di questo tipo sono ancora possibili e che i confini e le frontiere che dividono le nazioni sono solo linee tracciate su una mappa.
Mancava un’ultima questione da definire: con che mezzo partire? Considerando che l’impresa non era già abbastanza avventurosa di per sé, abbiamo deciso di acquistare una Fiat Panda 4x4 del ‘96. Sicuramente un mezzo affidabile, nonchè iconico dell’Italia, ma non proprio il mezzo più comodo per affrontare più di 16 mila chilometri.
Così abbiamo formato la Scuderia Pandino, formata dal sottoscritto, 27 anni, consulente nel turismo sostenibile, Luca, mio coetaneo e anch'egli consulente e Ludovico, 22 anni studente di economia. E ovviamente la Panda.
Ci mancava però un obiettivo. Volevamo che oltre a cambiare noi, questa esperienza potesse cambiare anche la vita di altri in meglio. Abbiamo quindi avviato una raccolta fondi con l’obiettivo primario di supportare le aree che avremmo visitato durante la nostra traversata. Abbiamo quindi scelto Medici Senza Frontiere e Intersos.
Tutto pronto quindi e così lunedì 10 luglio Scuderia Pandino dà finalmente via alla sua avventura.
Le prime tappe ci vedono attraversare le Alpi e la Svizzera, per effettuare la prima sosta sul Lago di Costanza in Austria, a seguire la Germania e la Repubblica Ceca.
Qui abbiamo il primo inconveniente: la chiave per l’apertura del tappo del carburante si spezza, all’interno della serratura. Fortunatamente il tutto si risolve il giorno seguente a Praga, anche grazie all’aiuto ricevuto da Dan, un supporter locale della Scuderia. Da lì proseguiamo per le altre tappe europee: Budapest, Belgrado e Sofia.
L’incontro più emozionante e sicuramente fuori dal comune avviene nelle montagne serbe, dove conosciamo Dušan, un eremita che si prende cura delle rovine del monastero Blagovestenje Gornjacko, del quattordicesimo secolo. Dušan, che da oltre 20 anni vive in una capanna nell’area del monastero assieme al suo cane Pika, ci dà la sua benedizione prima della partenza.
Dopo la Bulgaria la Panda raggiunge la Turchia. L’arrivo a Istanbul decreta uno spartiacque nel viaggio: terminate le tappe europee, inizia il viaggio asiatico. Iniziato, sì, ma non per il meglio. Uno strano rumore proveniente dalla ruota anteriore destra ci mette in allerta. Facciamo uno stop per un controllo e si capisce che il cuscinetto della ruota è rotto. Purtroppo, però, il pezzo di ricambio è introvabile ad Istanbul è l’unico posto in Turchia dove è disponibile è ad Ankara, che, per fortuna è la tappa successiva. Non sappiamo nemmeno noi, come, ma riusciamo ad arrivare autonomamente ad Ankara, dove il pezzo viene sostituito.
Si prosegue quindi verso la Cappadocia, dove cambiamo mezzo per un giorno e facciamo l’iconico giro in mongolfiera. Riprendiamo quindi Pandina per attraversare la Turchia ed entrare in Georgia per una brevissima tappa.
Il prossimo Paese è l’Iran a cui è possibile accedere solo dalla Turchia. L’Armenia ha infatti i confini chiusi sia con l’Iran che con Turchia e Azerbaijan a causa dei conflitti.
L'ingresso in Iran significa anche abbandonare territori più conosciuti e iniziare l'avventura vera e propria.
Da subito siamo stati colpiti dalla gentilezza e dall'apertura della gente, completamente diversa dall'immagine dell'Iran che i mezzi di informazione ci forniscono. Abbandoniamo quindi ogni timore e cogliamo qualsiasi occasione per interagire con la gente del posto, che si dimostra molto curiosa della nostra auto.Veniamo più volte fermati per strada, sia in macchina che a piedi, perché ci potessero offrire un pasto, una tazza di tè, un dolce o addirittura il pieno di benzina. D’altra parte siamo gli unici occidentali.
A Teheran sono molte le donne senza l'hijab (il velo musulmano), ma nonostante ciò notiamo comunque la presenza della polizia morale, che ci invita ad utilizzare i pantaloni lunghi per girare la città.
Dopo l'Iran ripartiamo alla volta del Turkmenistan, un paese molto chiuso, da alcuni paragonato alla Corea del Nord. Il visto per il Turkmenistan, uno dei tre che abbiamo dovuto richiedere per questo viaggio, oltre a Iran e Russia, è stato il più complicato da ottenere. Si tratta di un Paese che prima del Covid aveva circa 10 mila visitatori ogni anno e che fino a maggio 2023 non aveva più concesso visti. In ogni caso, siamo stati scortati durante tutta la nostra permanenza nel Paese da una guida locale.
Oltre alla capitale Ashgabat, caratterizzata dagli edifici in marmo bianco, facciamo una sosta a Darvaza, un cratere nel mezzo del deserto che brucia dal 1972 quando i sovietici pensarono di dar fuoco a un giacimento di gas convinti che si sarebbe esaurito entro un paio di giorni.
Entriamo, poi, in Uzbekistan, sicuramente il più turistico di tutti i paesi, grazie ai suoi colori e ai suoi monumenti. Khiva, Bukhara e Samarcanda sono le città che visitiamo, in cui incontriamo e conosciamo diversi Uzbeki. In particolare, a Khiva conosciamo il nostro vicino di casa, un anziano Uzbeko di nome Nazar. Da buon musulmano, ci invita a casa sua per provare la vodka locale. La situazione si trasforma presto in una simpatica festicciola dove veniamo raggiunti da diversi amici di Nazar, che ci mettono a dura prova. Usciamo da lì un po’ alticci.
È arrivato quindi il turno del Tajikistan, dove, dopo una breve sosta nella capitale Dushanbe partiamo alla volta del Pamir, percorrendo la seconda strada più alta al mondo, raggiungendo un'altitudine di 4660 metri.
A un benzinaio incontriamo Boxa, un “pastore” locale con più di 1000 pecore, che ci invita a casa sua. Ci fa trovare per pranzo stufato di pecora e veniamo accolti dalla numerosa famiglia. Vorrebbero che ci fermassimo a dormire, ma dobbiamo proseguire. Anche questi sono momenti che porteremo nel cuore.
La cosiddetta Pamir Highway è emozionante fin dal primo momento quando costeggiamo per diverso tempo l'Afghanistan, divisi solo da un fiume largo 10 metri. L’emozione non viene scalfita nemmeno dalla strada, ovviamente sterrata e per nulla messa bene, e dalle chiusure dovute ai lavori che ci impongono una media di 20 km/h.
Quando abbandoniamo il confine con l’Afghanistan iniziamo a risalire per dirigerci verso il Kirghizistan, questa volta costeggiando la Cina.
Qui si presenta il primo problema geopolitico. Dal 2022 i confini tra Tajikistan e Kirghizistan sono chiusi a causa di conflitti armati tra i due paesi. Decidiamo comunque di recarci al punto di confine, anche animati da racconti che ci arrivano di persone che sono riuscite a passare.
Arrivati al confine facciamo amicizia con le guardie tagiche. Facciamo provare loro Pandina e alla fine è fatta. Siamo stati tra le prime persone ad attraversare questo confine (per ora solo pochi turisti ci sono riusciti) e speriamo che anche questo possa portare un messaggio di pace e unità che è uno degli obiettivi del nostro viaggio.
Bellissime le montagne del Kirghizistan dove veniamo ospitati in una guesthouse di una famiglia locale. Li aiutiamo a smontare la yurta, in previsione dell’inverno e a mungere i cavalli con il cui latte, producono la bevanda tradizionale, che non è proprio di nostro gradimento.
Il Pamir ha portato con sé anche alcuni problemi tecnici per Pandina: una perdita al differenziale e una gomma bucata, che sistemiamo prontamente. Dopo una sosta a Bishkek, la capitale del Kirghizistan, passiamo ad Almaty, la seconda città più grande del Kazakistan.
A livello paesaggistico il Kazakistan non ci suscita molte emozioni. Chilometri e chilometri di steppe senza incontrare nessuno. Mentre attraversiamo il Paese la disavventura di un conoscente inglese ci fa scoprire che il confine che avevamo pensato di attraversare per entrare in Russia non è aperto agli stranieri. Questo ci complica le cose. Significa dover cambiare punto di confine e dover fare 1250 km in due giorni. Sì, perché stupidamente avevamo chiesto il visto per la Russia solo per i 3 giorni che avevamo in programma di passare nel paese. Una scelta che fin da subito si dimostra un errore.
L’entrata in Russia avviene senza troppi problemi, o almeno, meno di quelli che ci aspettavamo. Nonostante la distanza dalla zona di guerra (siamo nella repubblica dell’Altaj tra Kazakistan e Mongolia) notiamo numerose Z sulle macchine, sui monumenti e sugli edifici. Anche i manifesti che incoraggiano ad arruolarsi non mancano.
A livello paesaggistico le montagne dell’Altaj sono uno spettacolo e ci dispiace non poter passare più tempo qui.
Se l’entrata in Russia è stata semplice, lo stesso non si può dire per l’uscita. Il confine con la Mongolia è aperto solo dallE 9 alle 18, ma già la sera prima ci sono macchine in coda di persone che passeranno la notte lì. Decidiamo quindi di metterci in coda alle 6 di mattina.
I controlli sono lunghi. Ci manca un documento. Apparentemente all’ingresso ci avrebbero dovuto far compilare la dichiarazione doganale, che però nessuno ci ha mai dato. Si prevede una lunga attesa e così sarà. Nel mentre, vediamo sequestrare diversa merce ai Mongoli.
Grazie a un lasciapassare del colonnello possiamo lasciare la Russia ed entrare finalmente in Mongolia dove dopo la dogana ci fermiamo a bere un bicchiere di vodka con alcuni militari.
Mongolia significa steppe e montagne abitate da mandrie di capre, pecore, mucche, cavalli, yak e cammelli che pascolano da soli o sorvegliati da qualche nomade che abita nelle tradizionali yurte, le tende che risalgono ai tempi di Gengis Khan. Ci fermiamo in un paio di yurte e ci facciamo benvolere scambiando doni che avevamo consegnato ai bambini che avevamo incontrato negli altri paesi. La prima cosa che tutti ci offrono è la bevanda a base di latte di cavallo e facciamo a gara per chi di noi debba berla, poi ci propongono il loro formaggio tipico e altri piatti.
La situazione cambia completamente a Ulan Bator, una città moderna, con diversi grattacieli dove, quando arriviamo si sta tenendo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi giovanili d’Asia. Concludiamo il nostro viaggio nella piazza principale sotto la statua di Gengis Khan e sotto la statua di Marco Polo, di cui abbiamo seguito (parzialmente) le tracce.
Siamo contenti e anche molto stanchi. Si deve tornare a casa. Come? In aereo. E Pandina? Non vogliamo e nemmeno possiamo lasciarla in Mongolia, pertanto la affidiamo a uno spedizioniere locale e la aspettiamo in Europa entro fine ottobre.
Per chiunque volesse vedere altre foto del viaggio può seguirci su instagram @scuderiapandino23 dove trovare anche il link per la nostra raccolta fondi benefica